Carbonio: la “C” della nostra vita con o senza idrocarburi. Senza questo elemento, identificato dal numero 6 nella tavola periodica degli elementi, non avremmo mai avuto vita sul nostro pianeta, e nemmeno una società sviluppata come la conosciamo oggi.

La struttura atomica del carbonio, grazie alla sua configurazione nello spazio particolarmente stabile, ci permette di formare lunghe catene e anelli che si legano gli uni agli altri. Al tempo stesso ci dà la possibilità di creare infiniti tipi di molecole da lega- re con altri elementi. Questa caratteristica unica e straordinaria ha permesso, milioni di anni fa, la formazione di amminoacidi sul nostro pianeta, i futuri elementi costitutivi del DNA, ma anche dei prodotti che usiamo quotidianamente: carburante, acciaio, materiali plastici – incluse fibre e gomme – vernici, farmaci e cosmetici.

Senza il carbonio, l’uomo non avrebbe mai potuto iniziare a produrre metallo sin dagli albori della ci- viltà e in seguito l’acciaio, che è stato la base della seconda rivoluzione industriale (dal 1870). In seguito è diventato il motore per lo sviluppo della chimica organica industriale, in particolare l’industria chimi- ca del carbonio. All’inizio, l’industria chimica organi- ca era alimentata dal carbonio estratto dalle miniere tedesche e inglesi, e successivamente dagli idrocar- buri provenienti dal petrolio frazionato in raffineria. Il petrolio divenne quindi la fonte più semplice – se paragonato alla struttura basica del carbonio – per costruire elementi per la chimica organica.

L’industria petrolchimica è nata insieme alle maggiori industrie petrolifere europee e nordamericane. Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’industria petrolifera ha conosciuto un’era di grande sviluppo, guidata dalla costante crescita della domanda di carburante derivante dal boom del trasporto au- tomobilistico e aereo. Al tempo stesso ha promosso lo sviluppo della adiacente industria petrolchimica, che viveva anch’essa un’epoca d’oro grazie alla crescita della produzione di poliolefine (PE, PP, gomma). Questo è stato possibile anche grazie alla scoperta dei catalizzatori di metilalluminossano (usiamo almeno una volta il nome di una molecola) per la produzione di polipropilene, sviluppato dal Premio Nobel Giulio Natta, ingegnere chimico che faceva parte della famiglia Tecnimont. Da allora, per far fronte alla crescente domanda di energia, sono state costruite raffinerie sempre più grandi in tutto il mondo. Così come avviene oggi, l’85% di un barile di petrolio veniva trattato come prodotto combustibile (benzina, diesel, carburante) e il restante 15% come materia prima per l’industria petrolchimica (etano, propano, butano, nafta).

Va detto che bruciare preziosi idrocarburi, formatisi milioni di anni fa, solo per azionare motori a combustione interna con un’efficienza molto bassa non è una delle migliori scelte per la nostra società. Oltre allo spreco di una fonte così preziosa di componenti per l’industria chimica, si genera un aumento di CO2 nell’atmosfera del nostro pianeta, cambiando dopo milioni di anni la sua composizione e causando il riscaldamento globale dovuto all’effetto serra. Il mondo, guidato da una visione ambiziosa, immagina sempre più una nuova era dove la CO2 e la plastica siano assenti. Grazie alla scoperta di nuovi materiali e al sorprendente ritmo di sviluppo dell’elettronica e della digitalizzazione, il settore energetico si sta orientando verso le fonti rinnovabili. La domanda di petrolio per produrre il combustibile necessario al settore dei trasporti è destinata a ridursi grazie allo sviluppo di veicoli elettrici/ ibridi, a una maggiore efficienza dei consumi e, ultimo ma non meno importante, a un recente concetto di mobilità adottato dalle nuove generazioni (economia condivisa).

All’improvviso il carbonio, cuore del nostro fragile ecosistema terrestre, è diventato al tempo stesso un vecchio amico ma anche un presunto nemico del pianeta. A partire dal Protocollo di Kyoto e, ancora più importante, dopo l’Accordo di Parigi (COP21) del 2015, l’opinione pubblica è stata correttamente sensibilizzata a una maggiore consapevolezza delle emissioni legate alla CO2 e agli ossidi di azoto (NOX), e alle enormi implicazioni ambientali rappresentate dai rifiuti di plastica. D’altra parte, l’opinione pubblica deve far fronte (e vivere) in un mondo industriale in cui si prevede una crescita del 4% annuo della domanda di prodotti petrolchimici, guidata dall’aumento della popolazione e dal miglioramento degli standard di vita, in particolare in Asia e in Africa. Questo significa che nei prossimi 20 anni si prevede – paradossalmente – che la domanda petrolchimica raddoppi, aprendo la porta alla nuova era d'oro della petrolchimica stessa.

Nel prossimo futuro, le industrie petrolchimiche saranno il motore principale di tutti gli investimenti delle compagnie petrolifere che – a seguito di un drastico calo della domanda di diesel – stanno tagliando i costi relativi ai progetti upstream e riducen- do le capacità di raffinazione. Tutte le grandi compagnie petrolifere nazionali e internazionali stanno annunciando imponenti progetti per aumentare la produzione petrolchimica dalle infrastrutture esistenti e per realizzare nuovi mega-impianti in linea con la domanda attesa per i derivati del petrolio. Si stanno quindi canalizzando enormi investimenti downstream nel settore petrolchimico per massimizzare il valore implicito di ogni barile di greggio prodotto (o da produrre) dai grandi giacimenti. Va sottolineato, inoltre, che gli impianti petrolchimici sono sempre strategici per trainare i processi di industrializzazione (vale a dire occupazione e sviluppo socio-tecnologico) in Paesi e comunità locali ricche di idrocarburi ma anche in fase di sviluppo. Era il caso di Europa e Nord America in passato, di Medio Oriente e Nord Africa venti anni fa, e di Sud-est asiatico e Africa sub-sahariana oggi. In tale contesto, la domanda cruciale diventa: come può il mondo combattere ideologicamente i gas serra e la plastica, e allo stesso tempo operare grandi investimenti industriali nelle infrastrutture petrolchimiche per far fronte a una domanda incessante, guidata dalla de- mografia e dallo stile di vita della classe media? Come si può conciliare questa apparente schizofrenia?

L’unica risposta ragionevole consiste in una visione matura di nuova economia industriale, guidata da un piano d’azione sulla transizione energetica sviluppato dalle migliori menti del pianeta. Non c’è dubbio che l’energia rinnovabile sia prioritaria, ma nessuno può negare l’estrema volatilità di un Future Energy Mix che sia allo stesso tempo sostenibile dal punto di vista ambientale e fattibile economicamente ed industrialmente. Indipendentemente dal livello di velocità più o meno aggressivo della transizione energetica (accettata dall’opinione pubblica e dalle autorità di regolamentazione), è il momento che gli ingegneri dell’Energia (come in Maire Tecnimont) si mobilitino convintamente verso l’innovazione.

Il primo nucleo di idee di Maire Tecnimont è stato chiamato GREENING THE BROWN: si tratta di una serie di innovazioni applicate alle tradizionali soluzioni petrolchimiche, con l’obiettivo di limitare o eliminare la CO2 e altri gas serra rilasciati dagli impianti esistenti. Le tecnologie di desolforazione a zero emissioni o il rivestimento di fertilizzante chimico per evitare dispersioni di ammoniaca sono buoni esempi.

Il secondo gruppo di tecnologie si concentra sull’ECONOMIA CIRCOLARE come modo per rigenerare la plastica esistente, evitando così impatti ambientali: dal riciclo meccanico e chimico dei materiali plastici per rigenerare polimeri, fino alle tecnologie waste-to-chemicals che potrebbero produrre gas rinnovabili, idrogeno o qualsiasi altra sostanza chimica tradizionale dalla gassificazione dei rifiuti.

Il terzo ambito degli sforzi di Maire Tecnimont verso la transizione energetica si chiama GREEN-GREEN. Come detto, il carbonio è fonte di energia vitale e si trova non solo negli idrocarburi, ma anche per esempio nello zucchero e nella cellulosa. Chimica e biologia collaboreranno in questo ambito sfruttando batteri ed enzimi. È il momento di studiare biocarburanti e bioplastiche provenienti dalle biomasse. L’emergenza oceani incoraggerà l’utilizzo di plastica biodegradabile per eliminare il problema della plastica invisibilenel mare. Il tema della plastica monouso sarà affrontato drasticamente e regolamentato. L’idrogeno è la molecola più “ammirevole” presente in natura e svolgerà un ruolo fondamentale. L’elettrochimica guiderà la produzione di idrogeno da energia rinnovabile solare/eolica attraverso l’elettrolisi e, più in generale, inizierà un flusso di nuove idee per produrre sostanze chimiche. La CO2, che è la molecola più “inerte” in Natura, potrebbe essere energizzata dall’idrogeno rinnovabile, producendo poliolefine (e plastica) in modo completamente nuovo e sostenibile. Tutte queste iniziative sono la spina dorsale della nuova società di Maire Tecnimont, NextChem, che è stata lanciata lo scorso novembre con un grande evento presso la nostra sede di Milano. Nonostante una massiccia mobilitazione su scala mondiale, ci vorrà del tempo; il prossimo decennio sarà fondamentale. La colossale produzione mondiale di energia e prodotti chimici continuerà a essere guidata dalle tecnologie tradizionali di idrocarburi, i cui impatti ambientali saranno continuamente analizzati e ottimizzati.

Crediamo che una coraggiosa transizione verso una nuova energia, ripensata per il bene del pianeta, abbia un immenso valore. Ma non crediamo nell’ideologia di un mondo libero dalla plastica. Riteniamo piuttosto che una rivoluzione debba avvenire in base a un uso responsabile della plastica, a partire da quella monouso e invisibile. La plastica, correttamente riutilizzata e riciclata, sarà sempre parte integrante della nostra vita e rimarrà la migliore molecola in cui la preziosa “C” di carbonio verrà intrappolata e utilizzata nel modo più duraturo possibile (non bruciata e sprecata come nei combustibili diesel). Conferendo in questo modo caratteristiche uniche a un materiale che rappresenta una delle migliori scoperte dell’uomo moderno.

Pierroberto Folgiero

Maire Tecnimont Group CEO e Managing Director

Giovanni Sale

Group Corporate Strategy SVP, Americas Region VP