«Anche se le aziende non rappresentano generalmente il posto ideale per fare lo startupper, personalmente sostengo che, nonostante le difficoltà che ho descritto, si possa diventare imprenditori all’interno di un’organizzazione pur senza mettersi in proprio».Roberto Battaglia, responsabile HR Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo, è l’autore di “Startupper in azienda”. In questo saggio – molto illuminante, uscito a inizio 2021 – Battaglia sostiene che per non disperdere il potenziale nascosto dobbiamo consentire alle persone di dare consigli non richiesti e prendersi la libertà di “uscire dal seminato”.

Come prima tappa del viaggio che ci porterà a conoscere ambiti e strumenti con cui le aziende e il gruppo Maire Tecnimont stanno disegnando il proprio futuro di imprese del terzo millennio, siamo partiti in maniera analoga ai numeri precedenti. Analizzando cioè il lavoro editoriale di autorevoli esperti, convinti che la cultura e i principi del management imprenditoriale trasformino le aziende in organizzazioni capaci di promuovere una crescita a lungo termine. Cogliendo così tutte le opportunità del XXI secolo. Insieme al pensiero di Roberto Battaglia (che approfondiremo con un’intervista a parte nelle pagine successive) troverete disseminate qua e là alcune pillole tratte da “La startup way” di Eric Ries e da “Trova il tuo perché” di Simon Sinek.

Eric Ries è imprenditore e creatore della metodologia Lean Startup, diffusa nel business a livello globale e adottata da persone e aziende di tutto il mondo. Con il precedente libro “The Lean Startup” del 2011 (tradotto in italiano con il titolo “Partire leggeri”) Ries ha venduto più di un milione di copie ed è stato tradotto in più di trenta lingue. Dopo aver maturato esperienze in compagnie come GE o Toyota, ne “La startup way” Ries applica i segreti della Silicon Valley alle aziende consolidate di ogni settore, spiegando che ognuno di noi oggi dovrebbe essere in “modalità startup”.

In “Trova il tuo perché” Simon Sinek – consulente di marketing e autore di diversi libri sui temi della comunicazione e della leadership – sostiene che per ispirare gli altri non basta spiegare quello che facciamo, ma bisogna rendere chiaro il motivo per cui lo facciamo: «La cultura economica – dice Sinek – sta cambiando: la gente non compra quello che fai, ma il perché lo fai. Trovare il motivo delle nostre azioni è la chiave per la realizzazione personale a qualunque livello, dalle boardroom delle grandi aziende al cuore dei giovani che stanno cercando lavoro». Per Sinek sentirsi realizzati è un diritto, non un privilegio. «Tutti abbiamo il diritto di alzarci alla mattina sentendoci motivati ad andare a lavorare, e di rientrare a casa la sera sentendoci realizzati per quello che abbiamo fatto». Il segreto per ottenere questo tipo di soddisfazione risiede nella capacità di comprendere esattamente perché facciamo quello che facciamo.

Scrittore e saggista inglese, Simon Sinek ha lavorato molto sull’approccio dei giovani al mondo del lavoro. Il suo target di riferimento sono appunto i Millennials – all’incirca le persone nate tra il 1984 e il 2000 – e il riassunto della sua teoria è diventato celebre in un’intervista di qualche anno fa, nella quale Sinek spiegava che tendenzialmente i giovani credono che tutto gli sia dovuto: «Non sono felici, gli manca sempre qualcosa. Troppi di loro sono cresciuti sotto l’effetto di strategie di educazione familiare fallimentari, perché è stato sempre detto loro che erano speciali e che potevano avere qualunque cosa dalla vita. Quando trovano un lavoro e arrivano nel mondo reale, in un istante scoprono che non sono affatto speciali, che la mamma non può fare avere una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno alcuna medaglia e che non basta volere qualcosa per ottenerlo».

Essere cresciuti in un mondo fatto di gratificazioni istantanee, secondo Sinek, non aiuta: «Vuoi comprare qualcosa? Basta andare su Amazon e con un clic ti arriva il giorno dopo. Vuoi guardare un film? Con un login non serve più consultare gli orari del cinema. Vuoi guardare una serie tv? Non serve aspettare le nuove puntate ogni settimana, basta guardarsele tutte di fila. Questo sistema di gratificazioni istantanee non funziona però sul lavoro, né aiuta a creare relazioni stabili nella propria vita. Per questo non c’è una app, sono processi lenti, oscuri, spiacevoli, incasinati. In altre parole, per lasciare un segno serve pazienza, non si può arrivare in cima senza curarsi della montagna. Imparare ad avere pazienza è la chiave per accettare meglio se stessi e il fatto che le eventuali cadute (o persino i fallimenti) faranno parte del percorso. Con la complicità di un ambiente di lavoro che la sappia apprezzare – conclude Sinek – la pazienza è una soft skill che vale la pena mettere al centro del proprio atteggiamento».