Al momento di ricevere la laurea “Honoris Causa” in Ingegneria Chimica, nella primavera del 2018, era visibilmente emozionato. Varcando la soglia dell’aula intitolata al premio Nobel Giulio Natta, nel cuore del Politecnico di Milano, Fabrizio Di Amato ha rivisto lungo un’ideale linea del tempo il percorso imprenditoriale che, da giovane diciannovenne alla guida di una piccola azienda, lo ha portato a diventare presidente e azionista di riferimento del gruppo Maire Tecnimont. «Ho sempre ritenuto importante andare dove altri operatori non andavano: cercando nuovi scenari e creando nuovi spazi di mercato» spiega oggi Di Amato, richiamando le teorie di “Oceano Blu” e il grande sviluppo industriale dell’ingegneria italiana.


Quella del numero uno di Maire Tecnimont è una storia personale densa di attitudini imprenditoriali, di intelligenze e competenze messe a frutto in un Sistema Paese che, nonostante le poche risorse del sottosuolo, ha comunque beneficiato di un capitale umano d’eccellenza. «Se ripenso agli inizi, ricordo di essere partito da outsider in un settore dominato da aziende storiche e da un business consolidato. La mia è stata una ricerca di territori ancora inesistenti sotto il profilo del business. Ma nella scia dei grandi cambiamenti degli anni ’90, abbiamo capito che si stavano aprendo nuovi spazi di mercato».

Una visione d’insieme per guardare lontano

Per analizzare meglio la sua visione imprenditoriale, occorre fare un passo indietro. Fino al momento in cui, da ragazzo durante l’estate, Fabrizio Di Amato faceva esperienza in una piccola ditta di impiantistica. «Avevo 17 anni – racconta sorridente – e aiutavo in ufficio, in cantiere, e nei rapporti con i fornitori. Facevo un po’ di tutto ma avevo un’ottima predisposizione per seguire gli andamenti economici e finanziari». Studiando e lavorando nella stessa ditta, Di Amato acquisisce tante competenze: a diciotto anni il titolare di allora gli propone di guidare un team di 20 dipendenti. «È stata una grande scuola – ricorda – l’offerta mi lusingava, ma non corrispondeva alle mie aspettative, perché avevo un’idea un po’ diversa. Dissi al mio titolare che avrei aperto una mia azienda, ma se voleva avrei lavorato per lui in subappalto. E così è stato. All’età di 19 anni ho costituito una società di fatto, e da lì è cominciata la mia avventura».

Come sostiene il professore di Storia Contemporanea alla Bocconi Giuseppe Berta (del suo saggio “L’enigma dell’imprenditore” ne parliamo in un approfondimento a parte), l’imprenditorialità, che viene dal termine “imprendere” cioè assumersi un rischio, è stata spesso caratterizzata come forza motrice del processo economico. Per questo oggi l’imprenditorialità come assunzione di responsabilità è il valore chiave per ogni dipendente Maire Tecnimont. Nel configurare la tipologia dei grandi imprenditori – dei loro comportamenti così come dei loro valori – gli storici d’impresa sintetizzano tre caratteristiche ideali: quella del “tecnico”, quella del “commerciante” e quella del “finanziere”. Collegate ad altrettante sfere dell’azione economica: quella del mercato del lavoro, del mercato dei prodotti e del mercato dei capitali.

Acquisizioni e meritocrazia

Sostenuto da un senso dell’imprenditorialità vissuto come vocazione e destino, Fabrizio Di Amato già a partire dal 1983 ha sempre reinvestito tutto, acquisendo piccole società alla ricerca di competenze. «Se vuoi crescere – spiega lui stesso – devi essere sempre concentrato sui tuoi obiettivi, avere chiara la direzione da seguire e allo stesso tempo cercare il meglio tra le competenze da valorizzare, sia tecnologiche che umane. Quelle che non hai disponibili internamente, devi saperle andare a prendere all’esterno. Come ho fatto quando abbiamo iniziato ad ampliare il nostro portafoglio tecnologico: bisogna iniziare a individuare tecnologie che siano adiacenti al proprio business. E lo stesso discorso vale quando inserisci persone nella tua azienda: devi sempre dare delle prospettive, tracciare un percorso, ma farlo in un’ottica meritocratica. Bisogna correre piano, andare avanti garantendo solidità nel lungo periodo».




Con l’arrivo degli anni Duemila, Di Amato (la cui azienda nel frattempo conta già circa 20 milioni di fatturato e 400 dipendenti) sceglie di cambiare strategia, decidendo di puntare sulle grandi aziende di ingegneria e contracting. Le acquisizioni diFiat Engineering prima e Tecnimont poi dimostrano l’obiettivo di mettere a sistema gli enormi potenziali inespressi e il profilo internazionale di queste imprese, in un settore che rischiava di essere acquisito da investitori stranieri (con inevitabili riduzioni occupazionali e perdite sia di competenze che di indotto). «Integrare Fiat Engineering e Tecnimont è stata una vera e propria iniezione di fiducia ed energia imprenditoriale, a beneficio di organizzazioni poco abituate alla concorrenza. Trasformandole in realtà capaci di stare sul mercato in modo competitivo, abbiamo creato la strada per costruire un gruppo di eccellenza capace di operare all’estero e, come general contractor, di gestire commesse sempre più importanti e complesse, in tutto il mondo sviluppando sempre più un approccio technology-driven. Prima di arrivare a Fiat Engineering, ho fatto un lavoro di scouting su tantissime aziende italiane nel settore del general contracting. Incappavo però sempre nello stesso problema: le aziende provenienti dal settore delle costruzioni avevano una situazione finanziaria il più delle volte precaria, mentre quelle provenienti dall’ingegneria mostravano performance più solide ed erano più internazionali. Quando si è manifestata la crisi, la Fiat ha messo sul mercato le attività meno legate al core business dell’auto, tra cui Fiat Engineering. Mi è sembrata l’occasione giusta, sebbene sia stato molto difficile persino farsi ricevere a Torino. Ricordo ancora che, quando mi sono presentato ai manager Fiat, quello che era a capotavola mi ha guardato dicendomi: prima di sedersi, lei ce li ha i soldi...? Fiat Engineering in effetti era molto più grande di noi: fatturava oltre quindici volte quanto fatturavamo noi. La negoziazione è stata durissima e alla fine ci siamo accordati per una permanenza della Fiat al 30%, con l’impegno che dopo tre anni sarebbero usciti definitivamente. Poi le cose sono andate meglio del previsto e in vista dell’acquisizione successiva abbiamo completato l’operazione già dopo un anno. È stata l’operazione più difficile e coraggiosa che abbia mai fatto. Avendo sempre tenuto distinte l’attività impiantistica dalle altre attività personali, ho avuto la possibilità di contribuire a questa importante acquisizione grazie ai proventi derivanti da dismissioni e altri redditi. Passare da 200 persone a 1.000 non è stata un’impresa facile, però ci siamo riusciti».

Dopo Fiat Engineering, arriva Tecnimont

L’acquisizione di Tecnimont, un tempo divisione di ingegneria del gruppo Montedison, è stato il secondo step importante per la crescita del Gruppo. La società era attiva nella realizzazione di grandi impianti industriali in tutto il mondo, soprattutto nel settore petrolchimico, erede della grande tradizione italiana di chimica industriale che risale a Giulio Natta, l’inventore del polipropilene.


«Il mio obiettivo era internazionalizzare: Tecnimont, grazie alla grande competenza delle sue persone e alla sua presenza in tanti Paesi, era la piattaforma ideale che doveva rimanere italiana. Anche questa è stata un’acquisizione molto complessa, valutata come una delle più importanti operazioni di acquisizioni in Italia. Oggi Tecnimont è leader mondiale nella realizzazione di impianti di poliolefine, con una quota di mercato globale del 30%. Contemporaneamente ha allargato il proprio business alla raffinazione, a tutta la catena gas e progressivamente alla transizione energetica e alla chimica verde. Nell’acquisizione non c’è stata una colonizzazione del compratore sul comprato, ma piuttosto una valorizzazione delle grandi competenze interne secondo un sistema meritocratico. Un metodo che ho sempre adottato in tutte le acquisizioni e integrazioni. Scommettendo sulle persone giuste». 

Per arrivare a Tecnimont, Fabrizio Di Amato e il suo team hanno dovuto sconfiggere la concorrenza di un’importante azienda giapponese. «Anche Confindustria, allepoca guidata da Luca di Montezemolo, ha giocato un ruolo importante. D’altra parte, il rischio era che il Paese perdesse competenze ingegneristiche di prim’ordine, e io volevo arrivare dove siamo adesso, tra i primi nell’impiantistica per la trasformazione degli idrocarburi. Dopo Tecnimont ho provato a prendere contatti con Eni per acquisire Snamprogetti: ma dopo un approccio iniziale, la loro strategia è cambiata e non hanno più venduto».


Fondamentale nel suo caso è l’aver sviluppato tutte e tre le caratteristiche dell’imprenditore, specie quella finanziaria che ha fatto da suggello a un forte nucleo di esperienze tecnico-commerciali. Conferma Di Amato: «Un passaggio importante? Incontrare banchieri illuminati che, senza conoscermi personalmente, hanno valutato e apprezzato il progetto industriale di realizzare un grande player di ingegneria internazionale, il contributo all’operazione con capitali propri, nonché l’impegno come azionista a lungo termine. Nel settore della trasformazione delle risorse naturali, dove opera Maire Tecnimont, ci sono in gran parte public company, e gli stranieri non sono abituati a vedere che dietro c’è una figura imprenditoriale. Quando invece se ne rendono conto è un’ulteriore garanzia. Aver maturato buoni rapporti con le banche per il merito di credito acquisito negli anni è stato fondamentale. Sapevano che ero un buon pagatore, come avevo dimostrato in tutta la mia storia imprenditoriale fino a quel momento. Ho sempre creduto nella solidità patrimoniale delle holding che ritengo debbano essere ben capitalizzate con mezzi propri, in maniera da poter intervenire in sostegno delle società operative in caso di necessità, come mi è capitato di dover fare nel 2013».


Portando in dote la tenacia imprenditoriale (necessaria a tenere dritta la barra del timone), una volontà di andare a guardare oltre i limiti e la capacità di integrare intuizioni e competenze, nel 2013 Fabrizio Di Amato completa un processo di manageralizzazione del Gruppo
con l’inserimento di un amministratore delegato. «Conosco tanti imprenditori che sono stati determinanti per l’avvio dell’azienda, ma che oggi faticano a lasciare le deleghe operative. Quando eravamo piccoli facevo tutto io, ma più l’azienda cresce, più aumentano le complessità. Abbiamo individuato il momento giusto per delegare la centralità operativa a un CEO, Pierroberto Folgiero, con cui mi confronto quotidianamente e che può contare su molti manager in grado di supportarlo nella gestione. Credo che l’imprenditore, indipendentemente dalle deleghe, debba comunque far sentire la sua presenza, affiancando il management nelle strategie tramite una catena decisionale molto corta».

Maire Tecnimont e il retroscena del nome

Il resto è storia recente e attuale. Dopo quelle di Fiat Engineering e Tecnimont – propedeutiche alla nascita nel 2005 del gruppo Maire Tecnimont – seguono le acquisizioni nel 2008 del rimanente 50% di Tecnimont ICB India (con sede a Mumbai, oggi principale centro di ingegneria all’estero con oltre 5.000 tra dipendenti e tecnici) e nel 2009 di Stamicarbon, società olandese leader globale nello sviluppo di tecnologie per la produzione di urea (fertilizzanti), con proprietà intellettuali e oltre il 50% del mercato globale in termini di licensing. «L’anno successivo – ricorda il presidente – viene finalizzata l’acquisizione di KT-Kinetics Technology, riconosciuta realtà romana attiva nelle tecnologie sull’idrogeno e lo zolfo e nella realizzazione di impianti. KT ci ha consentito di ampliare le nostre competenze anche nella raffinazione, contribuendo allo sviluppo delle nostre nuove tecnologie nel settore della chimica verde, come nel caso dell’idrogeno di cui oggi si parla molto».


Perché il nome Maire Tecnimont? «Al momento della creazione della capogruppo, che integrava le prime due grandi società acquisite, c’era da scegliere il nuovo nome. Incaricammo anche una società specializzata ma non ce ne piaceva nessuno. Alla fine, mi venne in mente Maire, che avevo già usato, e che è l’acronimo dei nomi dei miei due figli maggiori: Massimo e Irene. L’altra mia holding Glv ha il nome che riprende quello dei miei figli più piccoli: Giovanni, Ludovico e Vittoria».


Guardando al futuro, per rispondere alle sfide ambientali globali e raggiungere i target europei di decarbonizzazione, la nuova chimica sarà sempre più focalizzata sul riciclo dei rifiuti, sulla biochimica e sull’elettrochimica. L’ultima nata nel novembre del 2018 è NextChem, una società controllata dove confluiscono le competenze manageriali e tecnologiche delle altre società del Gruppo relative alla Green Chemistry. Conclude Fabrizio Di Amato: «Siamo stati pionieri di questa trasformazione. Oggi NextChem è una realtà solida, con numerosi progetti all’attivo per accompagnare la transizione energetica. Un processo irreversibile, ma anche una grande opportunità per riposizionare l’Italia, rilanciare il lavoro e creare valore industriale di lungo termine».