Come sono cambiate le nostre città in seguito a eventi improvvisi? Ce lo mostrano le strategie messe in atto per rispondere allo shock petrolifero del 1973 (simili al lockdown causato dal Covid-19). Quando le metropoli si ritrovarono con le auto ferme, spente da insegne e lampioni.


La storia insegna che quella della resilienza è una prova che in molti hanno dovuto affrontare per superare una crisi inaspettata: è una capacità che riguarda i materiali e i vegetali, gli animali e le persone, le comunità e gli Stati. Di fronte a uno shock, la strada da perseguire è quella di raggiungere un obiettivo resiliente, cioè di costruire un equilibrio nuovo e funzionale per riprendersi da un grande cambiamento improvviso. Ne hanno scritto e parlato per secoli letterati, filosofi, fisici e storici di tutto il mondo.  Ne esalta l’importanza Giacomo Leopardi nel 1836, quando scrive “La Ginestra o il fiore del deserto”, celebrando la capacità di resilienza di una pianta che cresce sulle pendici dei vulcani, in un ambiente arido dove la lava brucia tutto: eppure quei fiori gialli dal profumo intenso rinascono sempre. Ecco che la capacità di resistere in una situazione ostile, nei versi del poeta si trasforma in una metafora della lotta per sopravvivere e affermare la vita.

Lo stabilisce la Fisica, che descrive la resilienza come “la capacità di un materiale di assorbire energia elasticamente, quando sottoposto a un carico o a un urto prima di giungere a rottura”. Lo ribadisce con autorevolezza la Storia quando racconta come uomini, popoli e Stati abbiano dimostrato l’abilità di affrontare una situazione estrema, una frattura della normalità apparentemente insanabile.

Prove di resilienza del presente e del passato

Con la crisi pandemica causata dal Covid-19 abbiamo assistito a uno stravolgimento profondo delle nostre vite e abitudini. La quotidianità è stata rivoluzionata, così come è mutato l’ambiente circostante. Siamo rimasti confinati in casa per evitare il contagio, le città si sono ritrovate deserte, silenziose, svuotate di auto, traffico e rumori. Anche i centri urbani sono diventati resilienti, hanno cambiato il loro volto per adattarsi a una crisi inaspettata. Ma non è la prima volta che questo fenomeno si verifica nella storia dell’Occidente: correva l’anno 1973 e allora non fu colpa di un virus misterioso, ma di una crisi energetica dovuta a un repentino aumento del prezzo del greggio.

I fatti che quasi mezzo secolo fa cambiarono il volto dei centri urbani furono conseguenza della guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur. Tra il 16 e il 20 ottobre, Arabia Saudita, Iran, Iraq, EAU, Kuwait, Qatar e Libia decisero un aumento unilaterale del 70% del prezzo del barile di petrolio, il taglio della produzione e l’embargo contro gli Stati Uniti e le nazioni alleate che sostenevano Israele, quest’ultimo attaccato da Egitto e Siria come risposta alla guerra del 1967.

La risposta alla crisi petrolifera cambia il volto delle città

Le conseguenze della prima crisi energetica globale non tardarono ad arrivare in tutti i Paesi colpiti dall’embargo: agli italiani, come a molti altri cittadini delle nazioni occidentali, furono imposte misure di contenimento dei consumi energetici che incisero sulla vita quotidiana. 

Il 2 dicembre del 1973 il governo italiano presieduto da Mariano Rumor stabilì una serie di provvedimenti all’insegna dell’austerity: arrivò la prima domenica di stop alle auto private e agli altri veicoli a motore non autorizzati, con un risparmio per ogni giornata a piedi di 50 milioni di litri di carburanti. Furono stabiliti nuovi limiti di velocità e fu anticipata la chiusura di negozi, uffici pubblici, bar, ristoranti e cinema. Anche i programmi televisivi dovevano concludersi entro le 22:45.

L’illuminazione pubblica nei centri abitati doveva essere ridotta del 40 per cento e tutte le insegne luminose commerciali dovevano essere spente. Per qualche nazione, come ad esempio l’Olanda, la crisi petrolifera portò alla rivoluzione del trasporto urbano sotto il segno della bicicletta.

Nasce la cultura dello sviluppo sostenibile

Grazie allo shock petrolifero del ’73, sui giornali si iniziò a parlare per la prima volta di modelli di sviluppo sostenibile, con appelli al risparmio energetico e a una nuova sensibilità verso la ricerca di energie alternative.Purtroppo questa lezione della Storia non servì a ridurre l’uso dei combustibili fossili: se è vero che lo shock del 1973 fu un incentivo per promuovere l’efficienza energetica, nei paesi OCSE il consumo di petrolio si ridusse solo durante la stagnazione economica 1975-1982, per poi riprendere a salire fino alla fine del secolo scorso, superando ampiamente i valori pre-crisi. La domanda alla quale oggi siamo chiamati a rispondere in termini di resilienza è se, a distanza di quasi mezzo secolo dalla crisi petrolifera degli anni Settanta, siamo finalmente disposti ad attuare la cosiddetta “svolta green”.

Una svolta in grado di difenderci dalle conseguenze di blocco dell’economia derivanti da rischi sistemici come il Covid-19 e dagli effetti dei cambiamenti climatici.