«Il coronavirus non è un cigno nero». Lo ha sostenuto in un’intervista a un quotidiano Nassim Nicholas Taleb, l’autore del bestseller “The Black Swan”, di cui EVOLVE si era occupato nel dicembre del 2017 trattando il tema dell’antifragilità. Il filosofo libanese – che aveva messo in conto l’evento inatteso in grado di travolgere tutto e tutti, cambiando la storia – spiega che non possiamo paragonare l’attuale pandemia Covid-19 a un cigno nero. «Manca una connotazione essenziale – dice Taleb – l’imprevedibilità. Se guardiamo alla malattia in sé, erano anni che la comunità scientifica avvertiva che prima o poi sarebbe scoppiata un’epidemia globale. E non è un cigno nero neanche per il crollo dei mercati: era nell’ordine delle cose una correzione vistosa, perché i prezzi erano troppo gonfiati, sia in Usa che in Europa. Un po’ di ‘drenaggio’ non farà che bene. Di momenti del genere ce ne sono stati tanti, anche senza epidemie».


Con queste premesse, abbiamo rivolto a Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Maire Tecnimont e NextChem, alcune domande sui temi della resilienza e sulla ricostruzione post virus. Sebbene il Covid-19 abbia evidenziato la fragilità del nostro sistema, questa crisi può diventare un’opportunità storica per guidare il mondo verso una direzione sostenibile.


«All of a sudden, the pandemic has confronted us with what can happen to the planet when a systemic risk becomes a reality. Apart from the deep sorrow for the victims of this virus and their families, we can draw a positive side from this event: the realization that we can live in a way unthinkably different from how we were used to. We must use the sense of surprise that millions of people have experienced in realizing that smart working actually works, if well organized, to consider the fact that many other things can be done very differently. We need to look ahead in the long term, because it will not be enough to just reduce emissions and energy consumption. We need to change social, economic and financial behaviors and values».

Come si programma una ricostruzione rapida e duratura?

«Preparando il sistema industriale alla riduzione dei rischi e delle perdite economiche derivanti dall’inquinamento, dai cambiamenti climatici e dall’impatto che questi hanno e avranno su molti settori. Le economie nazionali dovranno diventare sempre più resilienti e autonome dal punto di vista industriale, perché la crisi del Covid-19 ci sta segnalando come l’era dell’oil&gas abbia iniziato la sua parabola di trasformazione. Gli investimenti privati nel settore fossile non sono più attraenti come prima, gli analisti finanziari assegnano un rating molto più alto ai progetti di innovazione tecnologica in ambito green. Con rallentamenti e aree di resistenza, ci stiamo avviando verso la quarta rivoluzione industriale: quella dove il mondo fisico, il digitale e il biologico saranno sempre più un corpo unico».

Come immagina lo scenario generale e italiano nel breve termine? Come dovrebbero muoversi imprese e istituzioni?

«Maire Tecnimont è leader nelle tecnologie per la trasformazione delle risorse naturali in energia e prodotti innovativi e sostenibili: ogni giorno per noi la transizione energetica significa agilità, flessibilità, internazionalità. Per questo ho in mente l’immagine di un grande cantiere, il “cantiere della transizione” a carattere globale. Ovviamente anche per l’Italia, che è la seconda potenza manifatturiera d’Europa, sarebbe una grande priorità alla quale dedicare tempo, risorse, definendo procedure semplificate per chi vuole investire. In questo contesto occorre guidare le imprese a utilizzare le risorse disponibili per avviare progetti nel lungo periodo. Gli ingredienti? Da un lato la capacità delle aziende di fare sistema, spingendo nuovi accordi di filiera, con piattaforme congiunte di ricerca e di applicazione concreta. Dall’altro la capacità delle istituzioni di saper sostenere l’innovazione in questo settore quando si presentano progetti di innovazione cantierabili».

Politica e imprese non sempre viaggiano di pari passo. In che modo i governi potrebbero intervenire?

«Servono piattaforme verdi affinché la domanda di capitale, di beni e servizi incontri le imprese. I governi dovranno agevolare in modo più coraggioso investimenti sostenibili con strumenti di fiscalità premianti per i processi che migliorano l’efficienza energetica, l’impronta di carbonio, le tecnologie di riciclo. Manca ancora l’infrastruttura regolamentare e gli incentivi per supportare la produzione di prodotti con materie prime a base biologica e non fossile, così come di prodotti chimici dal riciclo di scarti e rifiuti. Intervenendo sull’innovazione, si rendono le industrie più competitive e meno esposte a futuri rischi di sistema».

In termini di resilienza, la chimica verde è una soluzione percorribile per garantire l’autosufficienza?

«Con la chimica verde possiamo creare un paniere di beni prodotti localmente, disponibili nel Paese e in grado di fornire maggiore autonomia in termini di materie prime, prodotti, energia. La transizione energetica è un’opportunità: ogni azienda sa che dove ci sono nuovi paradigmi da esplorare, cresce l’innovazione e il business. La nascita di NextChem va in questa direzione: quella di posizionarci su un mercato promettente, quello delle tecnologie per l’economia low-carbon e circolare. I rifiuti sono il petrolio del nuovo millennio, sebbene in Italia si fatichi a riconoscerlo sia a livello istituzionale che sociale. Ricordiamo la sindrome Nimby: da noi risorge spontanea ogni qualvolta si ragiona di come trasformare rifiuti in risorse».

Come si può trovare un giusto equilibrio per gestire le risorse in modo intelligente?

«La transizione energetica non può prescindere dallo sviluppo dell’economia circolare per risparmiare risorse naturali, recuperando la maggior quantità possibile di materiali post-consumo, vero e proprio tesoro di molecole preziose. In questo modo ridurremo la nostra dipendenza da altri Paesi per l’approvvigionamento di materie prime. Bisogna iniziare a ragionare sullo sviluppo di tecnologie green in un’ottica di prossimità con la biomassa che verrà usata come carica dei processi industriali di trasformazione».

Si discute ancora se alcuni tipi di rifiuti possono essere considerati come biomasse.

«La disponibilità di biomasse è la vera sfida per l’economia sostenibile del futuro. Per far crescere l’economia circolare, bisogna sforzarsi di osservare il sistema con uno sguardo ampio, capace di cogliere le simbiosi tra settori diversi, tra agricoltura e industria, tra filiera agroalimentare e chimica: ciò che per l’una è uno scarto, per l’altra può diventare materia prima».

Tecnicamente, questo come si traduce all’interno di NextChem?

«La nostra tecnologia proprietaria di Upcycling consente di ottenere una perfetta circolarità: permette infatti la trasformazione di rifiuti plastici post-consumo in polimeri ad alte prestazioni e in grado di sostituire la plastica vergine. Le nostre tecnologie a base bio per la chimica verde consentono l’integrazione con impianti esistenti per produrre intermedi e biocarburanti da oli e grassi residui. In NextChem abbiamo sviluppato tecnologie di riciclo chimico che permettono la produzione di gas circolare, idrogeno circolare, metanolo e altre preziose molecole da scarti plastici e secchi non riciclabili. Con un doppio beneficio, sia sul fronte della circolarità che sul taglio della CO2, senza trascurare la sostenibilità sul piano economico. Con ENI abbiamo un progetto in corso per la raffineria di Venezia finalizzato a produrre Circular Hydrogen, estratto dal gas di sintesi generato dalla conversione chimica di rifiuti come il Plasmix (frazione mista della raccolta differenziata, difficile da riciclare per via meccanica) e il CSS (Combustibile Solido Secondario). Sempre con ENI, portiamo avanti anche il progetto per la raffineria di Livorno, dove produrremo metanolo sempre con lo stesso processo. Credo che il nostro Circular Hydrogen sia uno step intermedio per arrivare a una produzione sostenibile di idrogeno verde (green hydrogen) prodotto da elettrolisi alimentata da energia prodotta da fonti rinnovabili».

In un articolo a parte, su questo numero di EVOLVE parleremo con il presidente Fabrizio Di Amato del modello di Distretto Circolare messo a punto da NextChem e presentato al premier italiano Giuseppe Conte in occasione degli Stati generali dell’economia. Cosa pensa di questo progetto?

«È stata una testimonianza importante quella portata dal presidente e azionista di controllo di Maire Tecnimont, Di Amato al tavolo del governo. La nostra idea di Distretto Circolare include tecnologie proprietarie e licenziate in uno schema integrato, con sinergie operative significative e vantaggi ambientali rilevanti. È una soluzione efficace per siti industriali brownfield che vanno decarbonizzati o riqualificati con un’impronta ambientalmente più sostenibile. Ma anche per industrie energivore e tradizionalmente fossili, come quelle dell’acciaio, del vetro, della gestione rifiuti e petrolchimica. Siamo molto motivati dal fatto che queste tecnologie risolveranno in modo innovativo il problema dei rifiuti, che è una delle questioni più complesse di questo secolo».

Digitalizzazione e smart working. Com’è stata vissuta la sfida a livello di manager, di tecnici, di dipendenti? Un altro tassello verso la resilienza organizzativa?

«L’intera azienda ha risposto con un grande senso di responsabilità verso se stessa e verso gli stakeholder che ci guardano con grande attenzione. Ho ribadito più volte il mio orgoglio nel vedere che il gruppo Maire Tecnimont aveva iniziato già da tempo a risalire la corrente, allenandosi nel divulgare la cultura digitale a tutti i livelli e a operare in un vero smart working motivato dal pensiero agile. Il nostro Gruppo ha coraggiosamente pensato alla soluzione prima ancora che il problema diventasse evidente. Governare lo sviluppo digitale di una multinazionale leader nell’ingegneria impiantistica degli idrocarburi e della chimica verde è un’attività complessa e motivante. Con oltre novemila professionisti dislocati in oltre quarantacinque paesi all’interno di cinquanta società, per noi progettare il domani – con tutte le sue variabili, in certi casi da “cigno nero” – è un esercizio che… farebbe invidia a Taleb e a molti esperti geopolitici».

Fatih Birol, direttore esecutivo della International Energy Agency, chiede espressamente che l’energia pulita sia il cuore dei piani di sostegno per contrastare la crisi del coronavirus. Nella logica di fare sistema, anche il mondo della ricerca va integrato nella spinta verso la transizione. Come si può rafforzare la collaborazione con le imprese?

«La posizione dei vertici dell’AIE è condivisa da un numero crescente di economisti, esperti e rappresentanti di imprese. Questo è l’obiettivo della recente piattaforma, chiamata European Alliance for a Green Recovery, che riunisce decine di opinion leader, istituzioni e amministratori delegati di tutta Europa, come anche del recente Manifesto della Fondazione Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (dove siamo tra i Fondatori) ed il messaggio della Fondazione Symbola contenuto nel Manifesto sul clima, che abbiamo anche firmato. Sul fronte dell’innovazione, Maire Tecnimont collabora da tempo con università e centri di ricerca per mettere a sistema le tecnologie che consentono una transizione sostenibile. Partecipare a progetti europei e nazionali, anche tramite piattaforme di open innovation, permette di intercettare idee ed energie positive, di cui poi testiamo l’applicabilità a livello pilota e su scala industriale. Credo sia arrivato il momento di condividere con i principali decision maker – sia istituzionali che di business – un piano importante per una ricostruzione industriale che abbia un impatto positivo sull’economia, sulla società e sull’ambiente».

Il quartier generale del Gruppo è in Italia, sebbene Maire Tecnimont sia presente in quarantacinque paesi. Quali elementi di resilienza nazionali possono portare ispirazione alle sedi sparse nei cinque continenti?

«Da italiani stiamo dimostrando tutta la nostra propensione a trovare soluzioni efficaci quando i problemi sono articolati. Cerchiamo di trarre motivazioni sempre nuove da circostanze avverse. In altre nazioni sono bravissimi a uscire dalle crisi con percorsi più ordinari e regolari, di lungo respiro. Negli anni, lavorando in tutto il mondo, anche noi abbiamo imparato che non basta essere disciplinati: gli ingegneri italiani sono sempre più un’eccellenza a livello globale perché sono disciplinatamente creativi, sono “ingegneri umanisti”. Probabilmente il “quid” in più deriva dalla capacità di attingere al problem solving e alla nostra cultura di base trasversale: fidandoci più di altri delle nostre intuizioni, troviamo soluzioni alternative che aprono la strada e portano flessibilità e resilienza al sistema. Le donne e gli uomini di Maire Tecnimont, già prima della crisi del Covid-19, hanno dimostrato più volte di saper fare tesoro di questo patrimonio culturale professionale. Ora è il momento di non avere paura di superare il paradigma esistente, creando il giusto mix tra visioni razionali e colpi di genio creativi. Penso a Taleb, il quale diceva che la resilienza si allena con l’antifragilità: l’incertezza non è solo una fonte di pericoli da cui difendersi, ma un’occasione per cercare benefici dalla volatilità e dal disordine, perfino dagli errori. Sono certo che la brutta esperienza della pandemia ci porterà a guardare il futuro delle nostre imprese, e quello delle persone in generale, con occhi diversi. Con uno sguardo da esploratori che immaginano già cosa c’è dall’altra parte del mare che stanno navigando».