«Riguardando il corso della nostra storia, riemergono una serie di valori che ci rendono ottimisti nei confronti delle sfide che ci attendono». In un numero dedicato alla visione del futuro, il presidente Fabrizio Di Amato sente aria di novità. Nei prossimi anni i processi di cambiamento verso la sostenibilità accelereranno: per stare al passo, l’ingegneria dovrà imparare a conoscere e a interpretare scenari che impongono cambi di paradigma storici.

«Le imprese del settore – spiega Di Amato – dovranno fornire risposte creative, innovative ed efficaci per aiutare l’economia e la crescita a coniugarsi con i bisogni sociali e la tutela delle risorse del pianeta. La nostra idea è che i tempi richiedano una trasformazione dell’ingegneria classica in una “ingegneria umanista”, in grado di risolvere problemi sempre più complessi: con senso critico e con una visione multidimensionale che tenga dentro aspetti etici, sociali e ambientali».

Tutto questo è ancor più vero in una società che progredisce verso una digitalizzazione pervasiva, che va governata con un’intelligenza trasversale e adatta a governare i dati. «Senza memoria è difficile stabilire se si stia percorrendo realmente la strada dell’innovazione. Storicamente l’ingegneria italiana ha ottenuto risultati importanti fuori dai confini, grazie anche a una visione d’impresa che non guarda unicamente alla tecnologia innovativa, ma che riconosce come caratteristica vincente il valore e le competenze delle singole persone».

Senso critico, dunque, e intelligenza creativa rappresentano la spina dorsale e la linfa vitale della leadership italiana nel mondo: una leadership che si fonda sull’ingegno unito al senso della bellezza. Da coltivare e saper conservare. «Rappresentare il nostro Paese nel mondo – continua il presidente del Gruppo – valorizzando l’ingegneria italiana e le competenze originali, è un’opera da ambasciatori del made in Italy che ci rende orgogliosi. Ricordo un passaggio del professor Maurizio Masi, del dipartimento di Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano, che durante la cerimonia per la laurea ad honorem a me conferita ha spiegato come il termine “ingegnere” abbia una doppia radice: quella latina che lo collega all’ingegno e quella anglosassone che lo lega alla macchina, all’engine. Un ingegnere dovrà essere “Homo Faber” per antonomasia ed esprimere la miglior sintesi di queste due radici. Il suo compito è modificare il mondo che lo circonda per adattarlo e, con senso etico, migliorarlo alle proprie necessità intervenendo in prima persona. Se occorre, si sporca le mani, plasma e modifica ciò che trova, progetta, costruisce, apportando nel tempo varianti e migliorie. Nella storia del nostro Gruppo rivedo queste caratteristiche: i nostri risultati non sono un prodotto della fortuna o delle eredità di famiglia, ma di un duro impegno di lavoro, sempre volto all’innovazione e al rispetto dell’ambiente».

Arte e cultura come mezzo di comunicazione

È da questo background, da questo Italian touch che contraddistingue un gruppo internazionale come Maire Tecnimont, che nasce l’attività della nuova Fondazione EVOLVE, impegnata a funzionare da “trait d’union” tra passato, presente e futuro. «Ispirandoci a un patrimonio storico di immenso valore, è nata a fine 2021 la Fondazione del nostro Gruppo. L’obiettivo è ambizioso: far comprendere il ruolo fondamentale che l’ingegneria può avere nell’era della transizione ecologica e digitale, mettendo l’identità storica, tecnica e culturale di Maire Tecnimont al servizio della formazione degli ingegneri umanisti di domani».
Se la rivista EVOLVE – nel ruolo di incubatore di idee, di laboratorio creativo – ha suggerito una continuità nel nome, la fondazione stessa non nasce come generica istituzione di temi verticali, ma come ulteriore laboratorio di eventi e iniziative sui temi dell’ingegneria umanistica. Tutto nasce intorno a un archivio storico di settemila disegni e progetti dei più famosi ingegneri e architetti italiani, personaggi che hanno segnato l’evoluzione dell’ingegneria e dell’architettura dell’intero Paese. Ne fanno parte autostrade, centri direzionali, quartieri residenziali, recuperi urbani nati dall’ingegno di Quaroni, Nervi, Morandi, Zevi, Aulenti, Gabetti, Isola, Piano, Rogers. Un patrimonio che ora si estende all’ingegneria chimica, energetica e industriale. «È la riscoperta di quell’ingegno tutto italiano che ha lasciato segni tanto preziosi nel mondo e che tiene insieme visione, cultura, intelletto, spirito imprenditoriale. Un simbolo per gli ingegneri e di come l’ingegneria sia conoscenza applicata che trasforma la realtà» spiega ancora Fabrizio Di Amato, che è presidente anche della Fondazione.

«Dell’ingegnere umanista – continua – se n’è sempre parlato all’interno di circuiti specialistici e storici: la nostra idea è quella invece di portare questo tema nel dibattito pubblico, con un contributo distintivo che rafforzi il valore storico dell’ingegneria italiana. Possedere un bagaglio tecnico e intellettuale classico, che ha attinto al patrimonio culturale greco, latino e rinascimentale, non può essere considerato né un peso né un’eredità sterile. Anzi: è un contraltare alla tecnologia che riproduce sé stessa, che si dimentica di valutare in profondità la componente umana. Questo bagaglio “umanista” ti dà un senso della complessità orizzontale, ti fa evolvere in modo complementare rispetto alle eccellenze specializzate nelle tecnologie verticali, senza frustrazioni e sensi di inferiorità rispetto al dibattito globale. Partire quindi dalla valorizzazione di un archivio storico ma rivolto al futuro significa credere in una visione antesignana della sostenibilità».

È un obiettivo ambizioso, dunque, quello che si è data Maire Tecnimont nel creare la propria Fondazione: affidandole il compito di promuovere il patrimonio storico del Gruppo – completamente digitalizzato e accessibile su richiesta da parte di studiosi e ricercatori – utilizzerà l’arte e la cultura come mezzo di comunicazione e di networking per divulgare contenuti scientifici e realizzare studi socio-economici, progetti formativi ed educativi. Il tutto in collaborazione con le università e altri enti no profit, a beneficio delle comunità dei territori in cui opera.

«Restituire alla memoria del territorio e della collettività un archivio storico ha una doppia valenza – conclude Fabrizio Di Amato – da una parte la conservazione di un patrimonio, dall’altra la sua valorizzazione e condivisione. I futuri “ingegneri umanisti” dovranno saper fronteggiare la complessità di questa epoca con uno sguardo alto e ad ampio raggio. Mi immagino una schiera di professionisti al servizio di uno sviluppo sostenibile, che possa inglobare le dimensioni di sostenibilità economica e disciplina finanziaria dei futuri impianti con quelle sociali, ambientali, culturali e tecnologiche. Se l’ingegno rappresenta l’essenza dell’italianità nel mondo, allora l’archivio della Fondazione potrà essere fonte d’ispirazione per il design e l’industria green di domani. Investiamo nel passato per avere certezza del futuro».