Siamo entrati nel 2022 con una consapevolezza rinnovata: azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050, avendole già dimezzate entro il 2030, sarà un obiettivo non facile ma neppure derogabile, vista l’urgenza di contenere gli effetti del riscaldamento globale.

Guardandosi intorno, capita di notare come molte aziende abbiano smesso di analizzare il presente e molti manager di ascoltare la voce delle stesse imprese che governano, vivendo proiettati nell’ansia degli impegni futuri. In parallelo, esistono aziende che giudicano invece saggio e produttivo dedicare del tempo a osservare ciò che accade al proprio interno, sapendo che i risultati di un’impresa procedono di pari passo con il suo grado di innovazione.

Molte volte, paradossalmente, la cosa più difficile non è trovare la soluzione giusta a un problema, ma capire in maniera dettagliata dove sta il problema e poi riuscire a pensare – in maniera agnostica e indipendente dalle proprie capacità esistenti – quale sia la soluzione migliore per risolverlo. Integrando anche tecnologie e soluzioni diverse o nuove per l’azienda, con tecnologie e competenze già esistenti, non necessariamente collegate tra loro. Troppo spesso inoltre le idee innovative restano dormienti ai livelli inferiori di un’organizzazione. Un po’ per paura, un po’ per insicurezza, un po’ per incapacità di pensare un modo diverso di fare cose e creare business.

Entrando in Maire Tecnimont, ho rafforzato la convinzione che i migliori business vengano concepiti proprio grazie alle migliori idee. E che quest’ultime siano frutto di una forte creatività collettiva e una spiccata capacità di osservazione e analisi rigorosa dei mercati e dei fabbisogni esistenti e spesso mal articolati. In un mercato sempre più globalizzato, il nostro Gruppo ha da tempo fatto suo il binomio impresa–ricerca, ottenendo risultati concreti in virtù di un modello di innovazione aperta e continua. In un’era in cui lo sviluppo tecnologico è sempre più veloce e sofisticato, diventa vitale per un’impresa accelerare e focalizzare la capacità di assorbire conoscenze esterne per creare maggiore valore e competere sul mercato globale in modo sempre più distintivo. L’Open Innovation è proprio questo. Una continua contaminazione e cross-fertilizzazione di soluzioni, idee, competenze tecnologiche e risorse esterne a cui attingere. È un sistema che permette di creare un nuovo approccio agli scenari economici e di condividere valore in maniera più equa all’interno spesso di nuove filiere e con nuovi partecipanti rispetto ai business esistenti. Intorno a noi start up, università, istituti di ricerca, inventori, programmatori, incubatori e acceleratori sono costantemente in piena evoluzione. Non c’è dubbio, quindi, che confrontarsi con risorse in continua innovazione e non convenzionali può dimostrarsi un metodo strategico, competitivo e di successo.

Gran parte dell’innovazione aperta sta nel realizzare innovazioni di processo incrementali e questo offre un duplice vantaggio sia alla multinazionale promotrice – che può disporre (e brevettare) un’idea performante altrui – e sia alle piccole realtà (come le start up e i laboratori di ricerca), bisognose di mezzi economici per sviluppare e materializzare le proprie ispirazioni.

Nel nostro ambito, constatiamo come la green economy stia cambiando il modo di fare impresa, costringendo le aziende a ripensare i modelli di business. L’approccio ai temi ambientali non può più essere burocratico e difensivo, ma proattivo e competitivo, sempre in chiave di qualità ambientale dei processi produttivi e dei prodotti. Per questo le imprese hanno bisogno di strumenti e approcci innovativi, nuove forme di rendicontazione, strategie dedicate a un business che già in partenza deve essere pensato “green” a partire dal disegno dei nuovi prodotti da offrire sul mercato. Imprenditori e manager hanno capito che sviluppare la cosiddetta eco-innovazione farà sempre più la differenza.

La transizione ecologica è in buona parte transizione energetica ed economia circolare, ovvero recupero, riciclo e valorizzazione degli scarti. Se guardiamo allo scenario, tutti i principali player (sia produttori che acquirenti di materie plastiche) si stanno orientando verso il riciclo e le bioplastiche, mentre le grandi oil company stanno rivedendo i loro piani di investimento in ottica di decarbonizzazione. Grazie al suo DNA tecnologico, e alla sua leadership nella trasformazione delle risorse naturali, Maire Tecnimont è in grado oggi di agire sulla curva dell’innovazione con il giusto tempismo, per essere il partner tecnologico e industriale di riferimento nel governare la transizione energetica in atto.

In un numero di EVOLVE come questo, dedicato alla visione della prossima decade (in base al motto “Our tomorrow is now!”), un ruolo centrale è senz’altro occupato da NextChem, specializzata in chimica verde ed economia circolare, con un portafoglio in continuo sviluppo di tecnologie proprietarie, tecnologie licenziate in esclusiva, piattaforme di integrazione tecnologica, contratti di EPC e ruoli di partnership e coordinamento in svariati progetti internazionali di ricerca. Grazie a questo background, Maire Tecnimont ha guardato al futuro diventando già da oggi il partner ideale per l’industrializzazione e la commercializzazione di prodotti innovativi sostenibili. Seguendo il principio della bassa intensità di capitale, delle collaborazioni e dello scouting tecnologico a livello globale, NextChem è in grado di colmare il divario tra un’idea di laboratorio e la produzione su scala industriale, nell’ottica della transizione energetica che guarda alla riduzione dell’impatto di CO2, ai nuovi prodotti ricavati da materie prime rinnovabili e ai nuovi mercati green.

Ogni giorno in Maire Tecnimont guidiamo la creazione di nuovi modelli sostenibili per essere parte attiva lungo la filiera delle nuove aree di business (risanamento ambientale, energie rinnovabili, riciclo e carburanti a basso impatto carbonico sono solo alcuni esempi). Tenendo conto della necessità, spesso stringente, di nuove soluzioni legate alla sostenibilità
di business strategici e alla riduzione delle emissioni di CO2 degli asset tradizionali, il nostro Gruppo procede senza sosta con una roadmap sempre più integrata, agendo come sviluppatore di progetti articolati e coordinando il lavoro dei diversi attori: imprese industriali o produttori, gestori di rifiuti, enti istituzionali o regolatori, investitori. Se da un lato le istituzioni devono saper sostenere l’innovazione di settore, dall’altro le aziende devono fare sistema, spingendo accordi di filiera, con piattaforme congiunte di ricerca e di studio.

Sapendo che la trasformazione dei rifiuti è la vera sfida sostenibile del futuro, Maire Tecnimont è impegnata a far crescere l’economia circolare osservando il sistema con uno sguardo più ampio, capace di cogliere le simbiosi tra settori diversi, tra agricoltura e industria, tra filiera agro-alimentare e chimica: ciò che per l’una è uno scarto, per l’altra può diventare materia prima. Da qui l’importanza per esempio delle nostre tecnologie proprietarie di Upcycling, che consentono di ottenere una perfetta circolarità trasformando rifiuti plastici post-consumo in polimeri ad alte prestazioni e in grado di sostituire la plastica vergine. Oppure delle nostre tecnologie a base bio per la chimica verde, che permettono l’integrazione con impianti esistenti per produrre intermedi e biocarburanti da oli e grassi residui. Così come delle tecnologie di riciclo chimico, che agevolano la produzione di gas circolare, idrogeno circolare, alcoli e idrocarburi, più altre preziose molecole da scarti plastici e secchi non riciclabili. Con un doppio beneficio sul fronte della circolarità e della riduzione di CO2, senza trascurare la sostenibilità sul piano economico.

Fra gli Oceani Blu – luoghi dove possiamo far valere la nostra intraprendenza nell’innovazione e la capacità di anticipare la domanda – si colloca la scelta del presidente Fabrizio Di Amato di finanziare la cattedra di Open Innovation e Sostenibilità alla Luiss Guido Carli di Roma, affidata al professor Henry Chesbrough, padre intellettuale del concetto stesso di Open Innovation e direttore del Garwood Centre for Corporate Innovation dell’Università della California a Berkeley. È un corso di studio per manager, imprenditori e professionisti che dovranno maneggiare l’innovazione continua come processo evolutivo, secondo un approccio open-minded: un passo nel futuro che aiuti le società, grandi e piccole, a trasformarsi da organizzazioni chiuse a organizzazioni aperte. Visto che, per citare lo stesso Chesbrough, «là fuori c’è “materia prima” di così alta qualità che anche le aziende più brillanti non possono permettersi di rimanere a guardare, ignorandola».