In Cina ci sono robot camerieri e robot poliziotti in aeroporto. Ci sono agenzie bancarie completamente gestite da automi e androidi che fanno da mamma e papà ai bambinetti di Pechino. BeanQ si chiama questa babysitter tecnologica, che fa domande come “Hai mangiato? Hai sonno? Stai bene?”. Dotato di intelligenza artificiale, l'androide BeanQ – che costa meno di 300 euro e sta rivoluzionando il sistema educativo in Cina – sostituisce le mamme troppo occupate. Ci spaventa tutto ciò?

Durante le prossime Olimpiadi del 2020, a Tokyo molti turisti al posto del tassista troveranno un robot. Sarà lui a guidare l’automobile. Un insieme di sensori radar a onde millimetriche, analisi di immagine su telecamere stereo e sistemi Gps governeranno la vettura che li porterà a destinazione. Molti alberghi saranno gestiti da androidi. Camerieri e concierge saranno robot che parleranno quattro lingue. Il riconoscimento al check-in sarà biometrico: niente più carta d’identità e registrazione manuale.

L'idea di un robot che aiuta gli umani nelle loro mansioni affonda le sue radici in tempi antichissimi. C'è una fase della storia (i primi del Novecento) dove vengono percepiti come una minaccia per il genere umano: composti di materia organica, si ribellano agli uomini e li sterminano. È Isaac Asimov, scrittore di fantascienza, che per primo rappresenta i robot non solo come strumenti utili, ma dotati anche di competenze sociali, personalità e capacità di apprendere, in grado di rapportarsi con gli umani in contesti diversi. Negli ultimi decenni, dunque, gli studi sui robot non si concentrano solo nella creazione di uno strumento che ci sollevi dalle quotidiane mansioni domestiche o che, come già avviene ad esempio in India e in Giappone, prenda il posto dei camerieri o dei commessi. La ricerca si è piuttosto concentrata su modelli e prototipi con applicazioni per l'assistenza agli anziani, l'apprendimento nell'infanzia e il trattamento dei disturbi dello spettro dell'autismo. In Giappone l’uso dei robot è in grande sviluppo nella cura della persona: sostengono i pazienti per scendere dal letto e aiutano le vittime di ictus a riprendere il controllo degli arti.

Un robot che lavora con noi (o per noi) in casa, in un ospedale o una scuola non è un braccio meccanico in una fabbrica. Deve invece essere in grado d'inserirsi in quel complicato modello di segnali sociali che ci caratterizzano e che sono specifici per ciascuno di noi. Che variano con il contesto ambientale in cui ci troviamo e con la nostra cultura, difficili da quantificare e per i quali è arduo costruire schemi univoci. Proprio a causa di questa complessità, la ricerca sulla robotica sociale prevede che l'intelligenza artificiale (soprattutto machine learning) e l'ingegneria si uniscano alle competenze della medicina, della psicologia, delle neuroscienze, delle scienze sociali e della linguistica.

Al recente Consumer Electronics Show di Las Vegas si è avuto anche un 'assaggio' di ciò che vedremo sulle strade delle nostre città nel prossimo decennio: molti colossi del settore High Tech – come Bosch ma anche ZF, Continental e Schaeffler – hanno infatti mostrato una inedita tipologia di veicoli, i mini-bus elettrici a guida autonoma, che circoleranno in 2,5 milioni di unità nel 2025 e che saranno utilizzabili in condivisone via smartphone. Il telefonino sarà, del resto, il lasciapassare per entrare praticamente in tutti questi mondi futuri: servirà per aprire e avviare l'auto ma anche per parcheggiarla senza bisogno di essere a bordo, per comandare droni o per attivare trolley-robot che ci seguiranno in aeroporto senza impugnare la maniglia.

Applicazioni industriali

La produzione di beni materiali passerà nelle mani tecnologiche di macchine intelligenti: è il caso di robot che lavorano già nell’agricoltura di precisione per il controllo delle erbe infestanti e per il raccolto. Altri robot più piccoli, e facilmente programmabili, gestiscono lavori alle catene di montaggio, con ritmi ovviamente più elevati rispetto agli operai umani. Tutto questo, sostengono gli esperti di scenario, lascerà alle persone il tempo di generare nuove idee, ma anche l’energia per distribuire prodotti, fornire servizi, elaborare e far girare informazioni.

In ambito produttivo, la robotica è uno dei trend principali con cui l’umanità avrà a che fare nei prossimi anni. Nel periodo 2016-2019, secondo l’ultimo rapporto stilato dalla Federazione Internazionale di Robotica (IFR), oltre 1,4 milioni di nuovi robot industriali saranno installati in fabbriche in tutto il mondo. In un futuro alquanto vicino, scompariranno milioni di posti di lavoro a bassi contenuti cognitivi: al loro posto ci saranno dei robot, probabilmente in cloud, che apprenderanno in base a esperienze già vissute.

La parola chiave è "robotica". Il professor Michael Brady, fondatore del “Robotics Research Group” dell’Università di Oxford la definisce come la "connessione intelligente tra percezione ed azione”. In altre parole un robot è qualcosa che, per raggiungere uno scopo, reagisce in modo intelligente a una situazione ambientale, da lui stesso rilevata attraverso un sistema di sensori.

L’introduzione di robot, associati con tecnologie IoT, macchine intelligenti e realtà aumentata, sta cambiando profondamente il lavoro di tutte le organizzazioni, specie quelle manifatturiere. In supporto alla produzione industriale, l'introduzione dei robot (pensati per lavorare insieme all’uomo, a fianco a fianco e in sicurezza) dispensa gli operai e i tecnici da lavori faticosi, pesanti e ripetitivi, riducendo i costi e aumentando la produzione. Si tratta dei classici bracci meccanici automatizzati controllati da software che siamo abituati a vedere negli stabilimenti industriali, specie quelli del mondo automotive. Tanto che attualmente ci sono 1,3 milioni di robot industriali nel mondo.

Dagli ultimi dati Eurostat sull'automazione industriale nel 2018, l'Italia spinge l'acceleratore nell'utilizzo di robot industriali o di servizio: il 9% delle sue imprese li impiega, terza in Europa dietro solo a Spagna (11%), Danimarca e Finlandia (entrambe al 10%). A trainare la rivoluzione industriale dei robot in Ue sono le grandi imprese (con 250 o più impiegati): il 25% li utilizza. La quota scende per le medie imprese (da 50 a 249 lavoratori), che fanno registrare il 12%. Le piccole imprese (da 10 a 49 impiegati) si fermano invece al 5%.